
La maturità oltre l’esame: un’opportunità educativa tra coscienza individuale e sistema formativo
Negli ultimi anni, l’esame di maturità è stato oggetto di dibattiti accesi, tanto nei media quanto nei corridoi scolastici. Inoltre, i recenti episodi di cronaca hanno riportato alla luce la crescente insofferenza di alcuni studenti verso l’orale, considerato da alcuni come un momento ansiogeno e, in certi casi, superfluo. Infatti, alcuni candidati si sono rifiutati di sostenerlo, sollevando interrogativi non solo di tipo legale, ma soprattutto educativo. Dunque, è lecito chiedersi se sia possibile e soprattutto utile, rifiutare una parte così centrale del percorso valutativo. A ben vedere, la maturità non è semplicemente un esame, ma è una tappa simbolica e concreta nel percorso di crescita. Un momento che non può essere ridotto a una semplice opposizione tra individuo e sistema.
L’orale di maturità: un contesto pedagogico prima che valutativo
Dal punto di vista pedagogico, l’orale non è solo uno strumento di verifica delle conoscenze, in quanto rappresenta un’occasione formativa per misurare competenze trasversali come la capacità argomentativa, la gestione dell’emotività, l’adattabilità comunicativa. Secondo il paradigma delle “competenze per la vita” promosso dall’UNESCO e ripreso dalle linee guida dell’OMS, l’abilità di esprimersi in pubblico, di argomentare le proprie idee e di dialogare con figure autoritative sono elementi centrali nello sviluppo della persona.
Dunque, la scuola italiana ha il compito di andare oltre la semplice trasmissione di contenuti, promuovendo un apprendimento significativo, critico e orientato alla realtà. In questa prospettiva, l’orale rappresenta un laboratorio pedagogico in cui lo studente è chiamato a rielaborare il sapere in maniera personale e riflessiva. Rifiutarsi di partecipare a questo momento, significa perdere un’occasione di crescita e di confronto.
Un sistema che valuta, non che giudica
Uno degli errori più frequenti nel percepire l’esame di maturità è la confusione che si innesca tra giudizio e valutazione. Infatti, c’è un bel distinguo. La valutazione è un processo tecnico e multidimensionale, che si fonda su criteri condivisi, osservabili e documentabili. Il giudizio, invece, è soggettivo, spesso intriso di connotazioni morali o affettive. Nel contesto scolastico, la valutazione ha lo scopo di restituire allo studente una rappresentazione attendibile delle sue competenze, per orientarlo e sostenerlo nel suo percorso di sviluppo.
Infatti, la valutazione dell’orale, se condotta in modo trasparente e professionale, non ha nulla di punitivo o arbitrario. Anzi, è una forma di riconoscimento del percorso compiuto, dell’impegno dimostrato e della maturazione personale. Non si tratta dunque di sottomettersi a un potere esterno, ma di partecipare a un processo educativo condiviso, in cui ciascuno è responsabile del proprio apprendimento.
L’emotività non è un ostacolo, ma un elemento educativo
Tra le motivazioni più ricorrenti alla base del rifiuto dell’orale, vi è la paura. La paura di parlare in pubblico, di non essere all’altezza, di fallire. Tuttavia, le neuroscienze ci insegnano che l’emozione non è una debolezza, bensì un’attivazione cognitiva fondamentale per l’apprendimento. Secondo gli studi di Antonio Damasio, le emozioni sono parte integrante dei processi decisionali e influenzano profondamente la memoria e la motivazione.
Affrontare una situazione ansiogena come l’orale può dunque diventare un banco di prova per sviluppare strategie di autoregolazione emotiva. L’educazione non può escludere la dimensione affettiva; al contrario, deve fornire agli studenti strumenti per comprenderla, accettarla e gestirla. In quest’ottica, l’orale non è un trauma da evitare, ma una situazione sfidante da vivere con consapevolezza e supporto.
Partecipare al sistema per cambiarlo dall’interno
Criticare il sistema scolastico è legittimo e, in alcuni casi, necessario, in quanto nessuna istituzione educativa è perfetta o immutabile. Tuttavia, opporsi a una sua componente essenziale come l’esame di maturità attraverso il rifiuto non contribuisce in modo costruttivo al cambiamento. Infatti, come insegnano le teorie della pedagogia critica, la trasformazione del sistema passa attraverso la partecipazione consapevole, non la rinuncia.
L’atto educativo implica una relazione dialogica tra istituzione e individuo, in cui entrambi apprendono e si trasformano. Lo studente, in quanto soggetto attivo del processo educativo, ha il diritto di esprimere dissenso, ma ha anche la responsabilità di confrontarsi con le regole condivise. Sostenere l’orale con spirito critico e propositivo può essere un modo per dimostrare che si è maturi non solo nei contenuti, ma anche nell’approccio al mondo.
La valutazione come opportunità, non come etichetta
Il voto dell’esame di maturità è spesso vissuto come un’etichetta definitiva, capace di definire il valore della persona. In realtà, si tratta di un indicatore parziale e contestuale, utile per aprire alcune porte; dunque, non sufficiente a spiegare l’identità di uno studente. A tal proposito, bisogna sempre tenere a mente che la psicologia dell’educazione ha più volte sottolineato il concetto di “mentalità di crescita” (growth mindset), elaborato dalla psicologa americana Carol Dweck. Il suo pensiero si sostanzia nel fatto che ciò che conta non è tanto il risultato finale, quanto l’atteggiamento con cui si affrontano le sfide.
Abbracciare una tale riflessione, significa considerare il voto come una possibilità e sviluppare una visione evolutiva del sé. In questo senso, l’esame di maturità rappresenta una palestra di responsabilità, in cui il risultato è il frutto di un percorso e non un verdetto scolpito nella pietra!
Il significato etimologico di “maturità”
La parola “maturità” deriva dal latino maturitas, ovvero “stato di ciò che è maturo”, pronto per un passaggio successivo. Non si tratta, dunque, di un traguardo definitivo, ma di una condizione dinamica, che implica la capacità di integrare il pensiero critico con il senso di responsabilità, la consapevolezza di sé con l’apertura all’altro.